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434 | Scola della Patienza |
i tedij, le miserie, i dolori, e le rovine: ivi non vi è nè infermità, ne morte: ivi sono sincerissimi ed eterni i spassi, e i piaceri.
Per il contrario qui appresso di noi non vi sono altro, che meri tedij, e merissime mestitie, ogni cosa è piena di pianto, e di dolore. Laonde Signor mio, rovinate hormai, se pur così vi piace, e gettate a terra questo picciolo tugurio del mio corpo, non me ne curo niente: vada pur questo a terra, purchè io me ne venga a voi. Già mi son lamentato à bastanza, longo i fiumi di questa amara Babilonia: già la mia cetera se ne stà un pezzo fà sospesa à i salici, nè più si fa sentire: penso solamente alla celeste Sion, e à voi Dio mio, con un’infaticabil desiderio mi sento rapire.
Hor questo è sapere, e questo è intendere. Et a questo modo la