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Parte I. Cap. V. 255

seria sopra l’altra, e una mala nuova non aspettata l’altra: cioè ci verrà un male sopra l’altro, non trovaremo pace in luogo veruno; in una parola, saremo rinchiusi nel sacco. Giob, che al pari di qualsivoglia altro havea esperimentato questo sacco, e questo cumulo di miserie, e di calamità, così dice: Ego ille quondam opulentus, repente contritus sum: tenuit cervicem meam, confregit me, et posuit me sibi quasi in signum. Circumdedit me lanceis suis, convulneravit lumbos meos, non pepercit, et effudit in terra viscera mea. Conscidit me vulnere super vulnus. Io (diceva egli) fui quel gran riccone, che andò subito in rovina. Iddio mi pigliò per il capo, me lo spezzò, e mi fece quasi suo bersaglio. Mi circondò con le lancie dei suoi flagelli, e mi conciò tutto malamente, senza perdonarmi, e mi gettò per terra tut-