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di tutto questo andando a visitare i luoghi prima che non sia notte completa.
Un secondo più tardi, noi eravamo seduti in un comodo landeau, e rapidamente traversavamo la bella città di Devonshire. L’ispettore Gregory, tutto compreso del suo soggetto, incominciò a parlarne con grande vivacità, e Holmes lo interrompeva soltanto di tratto in tratto per fare una osservazione o una interjezione.
Il colonnello frattanto stava adagiato in fondo alla vettura col cappello abbassato sugli occhi, mentre io ascoltavo con interesse i due agenti della questura. Gregory esponeva la sua teoria, che quasi sotto ogni punto era conforme a quanto Holmes aveva predetto.
Le cariche stringono Simpson da ogni lato, egli osservò, e credo realmente ch’egli sia il nostro uomo. Riconosco però che l’evidenza è precariamente circostanziale e che noi dobbiamo avere delle prove più convincenti.
— Che pensate del temperino di Straker?
— Noi abbiamo concluso che si era ferito da sè nella sua caduta.
— Amico mio, il dottor Watson, ha emesso la stessa opinione. Se così è, è una nuova prova contro l’accusato.
— Senza dubbio. Non aveva su lui alcuna traccia di ferita. Le prevenzioni sono certamente molto forti contro di lui. Ha un grande interesse nella scomparsa del favorito: è sospettato di avere avvelenato il groom; è uscito certo durante la pioggia; aveva un’arme e la sua cravatta fu trovata in mano al cadavere. Ritengo noi abbiamo bastanti prove per presentarci a un giurì.
Holmes tentennò la testa.
— Un abile difensore distruggerebbe subito queste prove. Perchè avrebbe portato via il cavallo? Se voleva impedirgli di concorrere, bastava ch’egli lo