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— Che uomo è?
— Piccino, alquanto forte, molto svelto, imberbe, con una leggera macchia di rossore sulla fronte.
— Durante la vostra assenza ha condotto bene i vostri affari?
— Perfettamente, i clienti erano contenti di lui.
— Queste indicazioni mi basteranno sig. Wilson; lunedì, vale a dire fra due giorni, voi saprete l’ultima parola di questa storia.
E quando il buon uomo ci ebbe lasciati, Holmes prese una pipa, la colmò di tabacco, l’accese coscienziosamente e lasciandosi cadere in un seggiolone mi pregò di lasciarlo riflettere tranquillamente; tre quarti d’ora gli bastavano. Vi fu un istante in cui lo credetti addormentato; colle gambe incrociate, e ripiegate verso di sè, pareva sonnecchiare. Di repente, quando il tempo che si era fissato, era trascorso, si scosse bruscamente ed, alzandosi di un balzo, andò ad addossarsi al caminetto.
— Sarasate suona questa sera a Saint-James’s Halle, volete accompagnarmi? Ci farà bene l’udire un po’ di buona musica. E poi, quel diavolo di artista sà tanto bene far dimenticare la bestialità umana. Passando andremo dal nostro Wilson, a Saxe-Coburg Square.
La bottega del prestatore era, come lo immaginavamo, una stamberga, smarrita in un cantuccio dello square, a mattoni rossi, colle finestre ornate di qualche pianta illanguidita dal fumo.
Sherlock esaminava tutto attentamente; ispezionò la via per ritornare ancora dinanzi la povera bottega. Finalmente ai avanzò fino alla porta, picchiò forte il suolo coll’estremità della sua canna, e a più riprese, e dall’esterno chiamò nell’interno della bottega. Un giovanotto comparve subito.
— Scusate, disse Sherlock, potreste indicarmi il più breve cammino per recarmi a Windmill Street? nessuno ha saputo rispondermi.