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La persona che così parlava, seduta in un seggiolone in casa di Sherlock Holmes era un onesto imprenditore dietro pegni, chiamato Jabes Wilson venuto quel mattino dall’amico mio per consultarlo sopra un’affare importante. L’uomo aveva l’aspetto di un tranquillo borghese di Londra, alquanto pingue, col volto inquadrato da un collare di barba rossa e il cranio provveduto di una capigliatura della stessa tinta. Oh! quella capigliatura! Aveva attirata la mia attenzione appena quel personaggio era comparso: la si avrebbe detta una fiamma pazza svolazzante su quel capo, dalla fronte all’occipite!
E come Sherlock lo incalzava a continuare la sua istoria, o meglio a riprenderla dal principio per mettermi al corrente — ero giunto all’improvviso — l’uomo così proseguì:
— Sì, signore, io posseggo una bottega non lungi da qui... Gli affari sono abbastanza calmi pel momento, è appena se il mio mestiere mi dà da vivere. Per diminuire le mie spese, ho ridotto il mio personale e non impiego ora che un uomo soltanto. E lo presi perfino a metà salario. Si presentò da sè e accettò le mie condizioni.
— Come si chiama il vostro commesso? interruppe Holmes.
— Vincenzo Spaulding. È molto intelligente e mi serve benissimo. Non gli conosco che un sol difetto: ama troppo la fotografia. Non passa giorno in cui non colga a volo dei tipi della strada per andare poi a sviluppare i suoi clichés in fondo alla mia cantina. Vi sta per delle ore intere.
— Ed è questa la sola persona che voi occupate?
— Sì, signore; una giovinetta di quindici anni viene inoltre ogni giorno per dar ordine alla nostra casa. Ci serve da cameriera e da cuoca. Viviamo così tutti tre semplicemente, uscendo pochissimo. Sono vedovo da molti anni e non ebbi mai figli.