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— Come ti senti, angelo mio?

Il malato non rispose, restò cogli occhi spalancati, collo sguardo fisso sulla mamma; mentre dalla bocca gli usciva pian piano la bevanda che Carmela vi aveva versato.

— Rispondimi, Ciccillo mio, rispondi alla tua cara mammina.

Ma il ragazzo non poteva parlare e seguitava a guardarla con uno sguardo più mesto del solito; poi pian piano chiuse gli occhi. Ella credette che si addormentasse e cheta cheta ritornò al lavoro.

La pioggia infuriava sempre più e si sentiva il rumore dell’acqua che sbatteva con violenza contro i vetri del finestrino posto in alto della stanza. Assieme allo scroscio del tuono, suonò l’una all’orologio.

L’una, era tardi, il suo figliuoletto soffriva tanto e Beppe non ritornava; chi sa in quale bettola era a buttar via in cattivo vino quel po’ di danaro che aveva guadagnato nel giorno. Ah! quell’uomo era stato la rovina sua e del figlio: chi sa se fin dalla nascita quel ragazzo non fosse stato tanto maltrattato da suo padre, chi sa che non sarebbe venuto su un po’ più forte?... E scoppiò in forti singhiozzi... ma li trattenne subitamente per paura di svegliare il malato; si alzò di nuovo e si accostò al letto: il volto di Ciccillo pareva più pallido che mai fra la massa bruna dei capelli; ella lo contemplò un tantino, trovò che anche così macilento era sempre bello, era sempre il suo amore, la sua vita... e si chinò per baciarlo sulla fronte... ma si ritrasse subitamente: quella fronte era fredda come il marmo.

— Ciccillo — chiamò ella con voce dapprima fioca e poi sempre più alta e straziante — Ciccillo!

Ma il miserello non poteva più rispondere.

Gli toccò la faccia, il petto, le mani: freddo, era tutto un gelo.

Ella gettò un urlo.

Dunque era morto?... Morto?... No, non era possibile; Dio non poteva darle quel dolore... Morto?... Ciccillo, l’angelo suo?... no, no...

E lo baciava sulla bocca, e lo baciava negli occhi, nei capelli...