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letto, ne osservava lo sguardo languido sotto le palpebre quasi del tutto abbassate, ne osservava l’ansia del respiro, vedeva quel piccolo petto alzarsi ed abbassarsi con un moto lento ed affaticato... e quando ritornava al lavoro una lacrima le rigava la guancie e cadeva sul lino bianco che ella cuciva.

Quel bambino era l’unica gioia della sua vita: l’aveva visto nascere malaticcio e l’aveva tirato su per cinque anni con quelle attenzioni e quelle cure che solo una madre sa prodigare: era lui, quell’angioletto, che alleviava le sue pene, che le faceva sembrare men dura la vita che il marito le rendeva così triste: quante volte per consolarsi delle busse di quel bruto, si gettava su quel ragazzo, che a cinque anni era ancora grande come un poppante, e lo abbracciava, e lo baciava, e lo ribaciava, e lo copriva di lagrime!... e così, senza parlare, era a lui che confidava le sue pene: ed egli spalancava i suoi occhioni neri, e la guardava, la guardava con uno sguardo mesto e penetrante che la confortava tanto!...

Il vicino orologio della Vicaria suonò le dodici: mezzanotte, e suo marito non ritornava... Ah! quell’uomo non aveva cuore pel frutto delle sue viscere!... Era buono ad ubbriacarsi, a bastonarla, ed a farla tanto soffrire!...

— Mammà — chiamò il fanciullo con un fil di voce.

Ella lasciò l?ago ed accorse premurosamente:

— Che hai, carino mio?

Il ragazzo non rispose e spalancò i suoi occhi neri, in cui pareva si riconcentrasse tutta la sua vita, la guardò un tantino, indi stirò le braccia, contorse le labbra e fu preso da una di quelle convulsioni che le trafiggevano l’animo.

— Ciccillo, Ciccillo! — chiamò lei con voce disperata.

La convulsione cessò tosto: parve come se il malato avesse compreso lo strazio della madre, che amorosamente gli porse un cucchiaio di quella pozione calmante che gli faceva tanto bene; ma il cucchiaio non poteva entrare in bocca, perchè il ragazzo aveva i denti stretti stretti, ed ella dovette aprirglieli por forza, onde versargli in gola la bevanda.