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ora di colazione e di pranzo. Poi, anche dopo pranzo, nell’ora delle dolci intimità, in quell’ora così cara, così sospirata da lei nei primi tempi del loro matrimonio, egli a poco a poco si era abituato a chiamare il cameriere, a mettersi il cappello, ed uscire fino all’ora di condurla a teatro od ai ricevimenti delle amiche intime. E finalmente aveva finito per pregarla di mettersi sola nella sua carrozza e di farsi condurre così dov’ella voleva, e dove più tardi egli l’avrebbe raggiunta.

E a lei ch’era buona e ch’era saggia, tutta quella libertà le riusciva dispiacevole perché le pareva trascuratezza, perché ella sentiva di non bastare più al suo Giorgio, perché comprendeva di essere amata e desiderata ogni giorno un po’ meno.

Era gelosa? oh no! aveva troppo stima di sè e di suo marito. Ma, ad ogni modo, non si dava pace di quell’incomprensibile mutamento, di quella novità nel contegno di lui.

Oh! com’era buono, una volta, e come era carezzevole! Quante lunghe giornate egli aveva passate accanto a lei, contornandola di cure e di amore, innamorato come ai tempi primi del loro fidanzamento.

Ora invece aveva amici che lo volevano e lo reclamavano da tutte le parti: accusava partite di caccia, corse, cavalcate, da cui non poteva e non doveva esimersi; visite a cui, in tutti i modi, era obbligato.

Aveva assunto la presidenza di quasi tutti i circoli, di quasi tutte le società: e negli ultimi giorni l’avevano proposto a candidato nelle prossime elezioni.

E tutto, tutto per strapparlo a lei, per rubarle la felicità delle sue carezze, delle sue parole, del suo amore!

Ormai pareva che nulla si facesse senza la sua presenza. A sentirlo parlare, egli era un uomo indispensabile.

— Davvero, davvero, mia cara: mi muore l’anima di doverti lasciare anche oggi così sola, ma, lo vedi, sono proprio obbligato.

Egli le diceva così stringendole la mano, bacian-