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Verso la fine dell’autunno 1823, uno straniero era giunto alla Couronne de Hongrie uno degli alberghi vicini al castello di Schoenbrün.

Come pareva non occuparsi che di sè stesso, prendendo cura dei suoi menus, passando lunghe ore nella birreria, non frequentando alcuno, la polizia dopo averlo osservato per qualche tempo aveva cessato di preoccuparsi di lui. Lo si diceva francese e ricco, venuto in Austria per cacciare nel Bosco di Leopoldsberg; partiva all’alba, col fucile sul dorso, sempre seguito da un domestico a rudi baffi, che pareva essergli più amico che servo e non faceva ritorno all’albergo che a notte inoltrata: pranzava, leggeva i giornali, indi se ne andava, se faceva bello, a fumare la sua pipa sulla soglia, guardando da lungi la lunga silhoutte cupa del castello, che si delineava nello sfondo di un’immensa spianata e ove splendeva soltanto, al primo piano dell’ala destra, una fiammella tenue e pallida, indicando il punto ove vegliava il giovane principe... l’aquilotto prigioniero, cui eran state recise le ali.

Convien dire ancora che lo straniero s’era legato con alcuni servi del castello, i quali finite le loro attribuzioni, andavano a passare la serata alla Couronne de Hongrie: egli si mostrava appassionato dilettante di fiori rari, e, per le relazioni che si era create fra i giardinieri e la livrea della residenza andava sovente a gironzare durante lunghe ore nelle serre e nei giardini del palazzo.

Ora, in quell’anno 1823, la Corte, in occasione delle feste del Natale, venne a stabilirsi a Schoenbrünn.

Secondo un vecchio costume germanico che si propagò poi nel mondo intero, nella galleria era stato eretto un alto e verde abete strappato ai fianchi del Schneeberg.

L’albero issava il suo tronco robusto ed eretto fino alle volte coperte di affreschi raffiguranti le divinità dell’Olimpo. Le alte specchiere riflettevano i verdi rami, gravi di aranci, di sacchetti di dolci, di uccelli impagliati, di piccoli soli di stagno, di nastri, di campanelli, che brillavano alla luce di