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NATALE IN CASERMA


Angelo Carini — quella sera — non era uscito di quartiere.

Dove sarebbe andato? Di fuori tirava un vento gelato e nevicava; le vie della città cominciavano a farsi deserte; radi passanti, intabarrati, col bavero alzato fino all’orecchie, rincasavano frettolosi; i lampioni agonizzavano nel velo fitto della neve che continuava a cadere, bianca, fredda, incessante.

Non il rumore di un tram, non il grido di un venditore di giornali; solo, tratto tratto, qualche schioppettata echeggiava in quel silenzio cupo di città deserta.

Era la sera di Natale.

Chi volete che cammini la sera di Natale? Il viavai cessa quella sera, il movimento cittadino s’interrompe, le faccende si tralasciano; ai teatri non si va perché son chiusi, ai caffè neppure e la vita si riconcentra nelle abitazioni, attorno ai caminetti, nei salotti tepidi e profumati, nelle sale da pranzo, dappertutto; nelle case ricche e povere, nei palazzi e nei tuguri.

— Il Natale si festeggia in famiglia — diceva un buon vecchio — altrimenti non può dirsi Natale.