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poca che sta per sorgere, e quella che davano per base alla loro Morale le generazioni che oggi chiamamo antiche! E com’è stretto il legame che passa fra l’idea che noi ci formiamo del Principato Divino e quella che ci formiamo dei nostri doveri! I primi uomini sentivano Dio, ma senza intenderlo, senza pur cercare d’intenderlo nella sua Legge: lo sentivano nella sua potenza, non nell’amore: concepivano confusamente una relazione qualunque fra lui e il proprio individuo; non altro. Poco atti a staccarsi dalla sfera degli oggetti sensibili, lo sostanziavano in uno di quelli, nell’albero che avevan veduto colpito dal fulmine, nella pietra presso alla quale avevano innalzata la loro tenda, nell’animale che s’era offerto primo al loro occhio. Era il culto che nella storia della religione si distingue col nome di feticismo. E allora gli uomini non conobbero che la famiglia, riproduzione in certo modo, del loro individuo: oltre il cerchio della famiglia non v’erano che stranieri, o più generalmente nemici; giovare a sé e alla famiglia era l’unica base della morale. Più dopo, l’idea di Dio s’ampliò. Dagli oggetti sensibili l’uomo risali timidamente all’astrazione: generalizzò. Dio non fu più il protettore della famiglia, ma dell’associazione di più famiglie, della città, della gente. Al feticismo successe il politeismo, culto di molti Dei. Allora la morale ampliò anch’essa il suo cerchio d’azione. Gli uomini riconobbero l’esistenza de' doveri più estesi della famiglia e lavorarono all’incremento della gente, della nazione. Pur nondimeno, l’Umanità s’ignorava. Ogni nazione chiamava barbari gli stranieri, li trattava siccome