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leva nella gioia alle sue vittorie, che lo contrista alla sua caduta? Un uomo, vostro o straniero, si leva, nel silenzio comune, in un angolo della terra, preferisce alcune idee, ch’ei crede vere, le mantiene nella persecuzione e fra i ceppi, e muore, senza rinnegarle, sul palco. Perchè lo onorate col nome di Santo e di Martire? Perchè rispettate e fate rispettare dai vostri figli la sua memoria? E perchè leggete con avidità i miracoli di amor patrio registrati nelle storie Greche e li ripetete ai figli vostri con un senso d’orgoglio quasi fossero storie dei vostri padri? Quei fatti Greci son vecchi di duemila anni, e appartengono a un’epoca d’incivilimento che non è la vostra, nè lo sarà mai. Quell’uomo che chiamate Martire moriva forse per idee che non sono le vostre, e troncava a ogni modo colla morte ogni via al suo progresso individuale quaggiù. Quel popolo che ammirate nella vittoria e nella caduta, è popolo straniero a voi, forse pressochè ignoto: parla un linguaggio diverso, e il modo della sua esistenza non influisce visibilmente sul vostro: che importa a voi se chi lo domina è il Sultano o il Re di Baviera, il Russo o un governo escito dal consenso della nazione? Ma nel vostro cuore è una voce che grida: «Quegli uomini di duemila anni addietro, quelle popolazioni ch’oggi combattono lontane da voi, quel martire per le idee del quale voi non morreste, furono, sono fratelli vostri: fratelli non solamente per comunione di origine e di natura, ma per comunione di lavoro e di scopo. Quei Greci antichi passarono; ma l’opera loro non passò, e senza quella voi non avreste oggi quel grado di sviluppo intellettuale e morale che avete raggiunto. Quelle popola-