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nide che trascina naturalamente alla lotta la gioventù, dopo qualche anno di sforzi, dopo delusioni inevitabili in impresa siffatta, quegli uomini non si stancherebbero? Perchè non preferirebbero il riposo comunque a una vita irrequieta, agitata di contrasti e pericoli, che può un giorno o l’altro finire in una prigione, sul patibolo, o nell’esilio? È storia pur troppo dei più fra gli Italiani d’oggidì, imbevuti come sono delle vecchie idee francesi: tristissima storia; ma come interromperla se non cangiando il principio da cui partono per dirigersi? Come, e in nome di chi convincerli che i pericoli e le delusioni devono farli più forti, che hanno a combattere non per alcuni anni, ma per tutta la loro vita? Chi può dire ad un uomo: segui a lottare pe’ tuoi diritti, quando lottare per essi gli costa più caro che non l’abbandonarli?
E chi può, anche in una società costituita su basi più giuste che non le attuali, convincere un uomo fondato unicamente sulla teoria dei diritti, ch’egli ha da mantenersi sulla via comune e occuparsi di dare sviluppo al pensiero sociale? Ponete ch’ei si ribelli; ponete ch’egli si senta forte e vi dica: rompo il patto sociale: le mie tendenze, le mie facoltà mi chiamano altrove: ho diritto sacro, inviolabile, di svilupparle, e mi pongo in guerra contro tutti: quale risposta potrete voi dargli stando alla sua dottrina? che diritto avete voi, perchè siete maggiorità, d’imporgli ubbidienza a leggi che non s’accordano coi suoi desiderii, colle sue aspirazioni individuali? che diritto avete voi di punirlo quand’ei le viola? I diritti appartengono eguali ad ogni individuo: la convivenza sociale non può crearne uno solo. La Società