e non operano che a seconda del principio d’educazione che loro è dato. Gli uomini che promossero le rivoluzioni anteriori s’erano fondati sull’idea dei diritti appartenenti all’individuo: le rivoluzioni conquistarono la libertà: libertà individuale, libertà d’insegnamento, libertà di credenze, libertà di commercio, libertà in ogni cosa e per tutti. Ma che mai importavano i diritti riconosciuti a chi non avea mezzo d’esercitarli? che importava la libertà d’insegnamento a chi non aveva nè tempo, nè mezzi per profittarne? che importava la libertà di commercio a chi non aveva cosa alcuna da porre in commercio, nè capitali, nè credito? La società si componeva, in tutti i paesi dove quei principii furono proclamati, d’un piccolo numero d’individui possessori del terreno, del credito, dei capitali; e di vaste moltitudini d’uomini non aventi che le proprie braccia, forzati a darle, come arnesi di lavoro, a quei primi e a qualunque patto, per vivere: forzati a spendere in fatiche materiali e monotone l’intera giornata: cos’era per essi, costretti a combattere colla fame, la libertà, se non un’illusione, un’amara ironia? Perché nol fosse, sarebbe stato necessario che gli uomini delle classi agiate avessero consentito a ridurre il tempo dell’opera, a crescerne la retribuzione, a procacciare un’educazione uniforme gratuita alle moltitudini, a rendere gl’istrumenti di lavoro accessibili a tutti, a costituire un credito pel lavoratore dotato di facoltà e di buone intenzioni. Or perchè lo avrebbero fatto? Non era il ben essere lo scopo supremo della vita? Non erano i beni materiali le cose desiderabili innanzi a tutte? Perché diminuirsene il godimento a vantaggio altrui?