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compirlo; e credo che non si fa l’uomo migliore, più amorevole, più nobile, più divino — ciò ch’è il nostro fine sulla terra — colmandolo di godimenti fisici, proponendogli a scopo della vita quella ironia che ha nome felicità. Credo nell’Associazione come nel solo mezzo che noi possediamo per compiere il Progresso, non solamente perch’essa moltiplica l’azione delle forze produttrici, ma perch’essa ravvicina tutte le diverse manifestazioni dell’anima umana e fa sì che la vita dell’individuo abbia comunione colla vita collettiva; e so che l’associazione non può essere feconda se non esistendo fra individui liberi, fra nazioni libere, capaci di coscienza della loro missione. Credo che l’uomo deve mangiare e vivere e non avere tutte l’ore dell’esistenza assorbite da un lavoro materiale per aver campo di sviluppare le facoltà superiori che sono in lui; ma tendo l’orecchio con terrore alle voci che dicono agli uomini: nudrirsi è lo scopo vostro; godere è il vostro diritto, perchè io so che quella parola non può creare se non egoisti, e fu in Francia, ed altrove, e comincia ad essere pur troppo in Italia, la condanna d’ogni nobile idea, d’ogni martirio, d’ogni pegno di futura grandezza.

«Ciò che toglie in oggi vita all’Umanità è il difetto d’una fede comune, d’un pensiero adottato da tutti che ricongiunga Terra e Cielo, Universo e Dio. Privo di fede siffatta, l’uomo si è prostrato davanti alla morta materia, e s’è conservato adoratore dell’idolo Interesse. E i primi sacerdoti di quel culto fatale furono i re, i principi e i tristi Governi dell’oggi. Essi inventarono l’orribile formula: ciascuno per sè: sa-