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mai, preso da una nostalgia accorata che lo istupidiva. E giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto, viveva col pensiero vicino a Giovanna ed al bambino, ricordando con precisione profonda tutti i più minuti particolari della casa, della vita passata, delle gioie vissute. E oltre che del suo dolore soffriva per il dolore di Giovanna. Impeti di tenerezza per lei, più che per il bimbo, lo scuotevano dalla sua immobilità pensosa: allora balzava in piedi, camminava a grandi passi, e siccome questi passi erano due o tre, si fermava di botto, appoggiava e sfregava forte la testa sul muro, quasi volendolo abbattere. Erano i suoi momenti più disperati.

Poi tornava a sperare, a intrecciar nella mente sogni fantastici di liberazioni romanzesche, subitanee. Ogni volta che il guardiano entrava, Costantino si sentiva battere il cuore, aspettando la lieta novella.

Qualche volta giocava da sè alla morra, dandosi il gusto di perdere o di vincere; e dopo rideva fra sè, come un bambino: altre volte contemplava a lungo la palma della mano aperta, figurandola una grande pianura divisa in tancas1 coi muri, i fiumi, gli alberi, gli armenti, i pastori, ai quali creava una vita di avventure emozionanti.

E poi pregava, contando sulle dita, e cantava le laudi a voce alta, provandosi anche ad improvvisare dei versi religiosi.

Così compose una lauda di quattro strofe dedicata a San Costantino, dove specialmente raccomandava

  1. Pascoli chiusi, ma vastissimi.