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fragore incessante di torrente. I condannati bisbigliavano fra loro, alcuni scherzavano e ridevano.

Costantino si assopì e sognò, come sempre gli avveniva, di trovarsi a casa sua. L’avevano liberato da poco, — egli sognava, — ed era tornato a casa senza far sapere nulla a Giovanna, preparandole così una sorpresa di indicibile gioia. Ella diceva: — ma questo è un sogno, questo è un sogno! — Le spese di giustizia avevan portato via di casa tutto, tutto, anche il letto. Non importava niente, però. Tutti i beni del mondo erano nulla in confronto alla gioia della libertà, alla felicità di vivere con Giovanna e con Malthineddu. Però Costantino era stanco, stanco, e s’era coricato nella culla del bambino, e questa culla ondulava da sè, sempre più forte, sempre più forte. Giovanna rideva e diceva: — Bada che cadi, Costantino mio, agnello caro! — e la culla ondulava ancora più forte.

Sulle prime anch’egli si mise a ridere, ma ad un tratto si sentì male, provò un capogiro e cadde dalla culla inclinatasi fino al suolo. Si svegliò col mal di mare. Il mare era mosso; il piroscafo saliva e scendeva da montagne d’acqua; l’acqua saltava fino sopra i passeggieri di terza.

Tutti i condannati soffrivano: alcuni cercavano ancora di scherzare, altri imprecavano; uno, il compagno di Costantino, un uomo dal viso giallo sottilissimo, gemeva come un bambino.

— Oh, — diceva col capo penzoloni, ansante e spaurito, — io sognavo di essere a casa, ed ora... ed ora!... San Francesco bello, abbiate pietà di me...