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— Fiorellino, vieni! Vieni chè ho da parlarti. Dirai a quella donna tua amica... ebbene, sì, a Giovanna, che se fa divorzio io la sposo.

Allora il vecchio si fermò di botto, si volse, chiamò con voce sonora:

— Giacobbe Dejas!

— Che volete, anima mia? — chiese il servo con voce sarcastica.

— Fallo ta...ce...re! — disse Isidoro in tono di severo comando.

Non seppe perchè, Giacobbe provò un brivido nel sentire quella voce e quelle due parole, e tosto prese il padrone per il braccio e lo trascinò via, mormorandogli:

— Sì, sei uno stupido. Che modi sono questi? Ti comporti come un montone, uccellino di primavera.....

— Non me l’hai detto tu?

— Io? Tu vacilli. Io non sono matto.

E andarono via uniti, barcollanti: nel portico dei Dejas trovarono zia Martina che filava ancora, al buio. Ella s’accorse tosto che il figlio era ubriaco, ma non gli disse niente, perchè sapeva che contrariandolo, quando egli si trovava in quello stato, montava in furore: soltanto quando Brontu le chiese del vino, ella rispose che non ce n’era.

— Ah, non c’è vino in casa Dejas, la più ricca del paese? Come siete avara, mamma mia! — Egli cominciò a urlare. — Io non farò scandali, no, ma sposerò Giovanna.

— Sì, sì, tu la sposerai, — disse zia Martina per