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— E sposala, uccellino di primavera! — rispose l’altro ridendo. Anche Brontu si mise a ridere; e risero assieme per lungo tratto di via, finchè videro un uomo alto, con un lungo bastone, venire loro incontro a passi silenziosi.
— Zio Isidoro Pane, avete fatto buona pesca? — gli chiese Giacobbe. — Sono ben punte le vostre gambe?
— Che tu possa diventare pescatore di sanguisughe, — disse l’altro, avvicinandosi. — Che odore di acquavite! Ah, devono aver rotto qualche barile, qui!
— Tu vuoi dire che noi siamo ubriachi? — chiese Brontu, minaccioso. — Tu non ti ubriachi perchè non hai con che; allontanati o ti ammazzo. Ti schiaccio come una rana...
Il vecchio fece una risatina soave e si allontanò.
— Stupido, — disse Giacobbe a bassa voce. — Egli può farti l’ambasciata; è amico di Giovanna.
— Ebbene, — cominciò a gridare Brontu, volgendosi e scuotendo le braccia, — vieni, vieni! Vieni qui, ti dico, Sidore Pane, che ti morsichi il cane!
Rise della sua rima ben riuscita, ma Isidoro non si fermò.
— E dunque! — gridò ancora l’ubriaco, balbettando un po’, — ti dico di venire! Ah, tu non vuoi venire, piccolo rospo? Ti ho detto...
Ma Isidoro s’allontanava a passi silenziosi.
— Non dirgli così, che modo è questo? — mormorò Giacobbe.
Allora Brontu cambiò metodo.