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vanna Era son io che non l’ho voluta. Se l’avessi voluta, ella mi avrebbe leccato la suola delle scarpe.

— Bum! Bada che cadi, uccellino di primavera. Tu sei bugiardo come una serva.

— Io? Io... non... sono... una... serva! — gridò Brontu, staccando le parole. — Se tu mi ripeti una cosa simile, ti prendo per il cocuzzolo e ti ammazzo.

— Bum! Ti ho detto che cascavi per terra, uccellino di primavera! — gridò anche Giacobbe.

Le loro voci risuonarono nella notte silente; ma poi tacquero e tutto fu di nuovo silenzio. In lontananza, al brillare delle stelle, che incoronavano di fiori d’oro i profili di sfinge delle montagne nere, l’assiuolo batteva sempre il suo grido melanconico.

E ad un tratto Brontu si mise a piangere; uno strano pianto d’ubriaco, senza lagrime nè singhiozzi.

— Ebbene, che hai? — chiese l’altro a voce bassa. — Sei ubriaco?

— Sì, sono ubriaco. Ubriaco di veleno, che tu possa morire affogato, avanzo di galera!

L’altro si offese, perchè non era stato mai non solo in carcere, ma neppure colpito da una contravvenzione, e fu preso da un vago timore. Disse, sempre piano:

— Tu diventi matto; che hai, perchè parli così? che ti ho fatto io?

Allora l’altro si sfogò, lamentandosi come se gli facesse male qualche membro, e disse che amava Giovanna come un pazzo, e che aveva sempre pregato il diavolo perchè Costantino venisse condannato.

— Si pigli pure la mia anima il diavolo, non mi