Pagina:Dopo il divorzio.djvu/31


— 25 —

intinse le mani nell’acqua e se le passò sul viso una sola volta; poi s’asciugò e avvolse la benda sul capo con somma cura.

— È tardi, — ripeteva Giovanna. — Dio mio, è tardi...

Ma la calma della madre finì col calmare anche lei. Zia Bachisia scese in cucina e Giovanna la seguì; zia Bachisia preparò il caffè-latte e il pane per Costantino (essendo permesso alle due donne di recar da mangiare all’accusato), mise tutto in un canestro e s’avviò verso le carceri: e Giovanna la seguì.

Le vie erano deserte; il sole, appena sorto sulle cime granitiche dell’Orthobene, inondava l’aria di pulviscoli d’oro roseo; il cielo era così azzurro, e gli uccelli così lieti, e l’aria così calma e odorosa che pareva un mattino di festa, non ancora animato dalla gente e dal suono delle campane. Giovanna, attraversando la strada che dalla stazione (presso cui abitavano i Porru) conduce alle carceri, guardava i suoi violacei monti lontani, adagiati come un enorme diadema d’ametista sull’orlo delle grandi valli selvaggie, respirava l’aria piena di profumi selvatici, pensava alla sua piccola casa di schisto, al suo bambino, alla felicità perduta; e si sentiva morire.

La madre trottava avanti, col canestro sul capo. Arrivarono davanti alla mole rotonda, bianca e desolata delle carceri: nel silenzio e nella luminosità mattutina la sentinella immobile e muta pareva una statua: un cespuglio verde sorgeva accanto al muro del carcere, accrescendo la tristezza del luogo. Il portone verdognolo che di tanto in tanto si soc-