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— Ah, bugiardo! — disse Grazia andandogli sopra, e lo picchiò mentre piangeva amaramente.

Intorno cantavano i grilli; il cavallo ruminava sbattendo la zampa sul selciato, le stelle piovevano un barlume latteo sul cortile caldo e fragrante di fieno secco.

— Essa è una povera orfana, non maltrattarla, — diceva zia Porredda a suo figlio, difendendo Grazia, (i tre ragazzi erano figli del figlio maggiore dei Porru, ricco pastore, e di una giovane morta un anno prima) — e se vuol leggere lasciala leggere.

— Sì, lasciala leggere! — affermò solennemente zio Efes Maria. — Ah, perchè non lasciarono leggere anche me quando era giovinetto? Sarei diventato astronomo, istruito come un prete.

Astronomo, per zio Efes Maria, era uomo coltissimo, savissimo, come a dire filosofo.

— Hai visto il papa, figlio mio? — chiese zia Porredda, per associazione d’idee.

— No.

— Come, tu non hai visto il papa?

— O che credete voi? Il papa sta dentro una scatola, e per vederlo bisogna pagare, pagare molto.

— Oh va! — ella disse — tu sei un miscredente.

E uscì nel cortile, dove i nipotini si bastonavano: piombò in mezzo a loro, li divise, li gettò uno per parte del cortile, gridando:

— In verità mia che siete tanti pollastri. Eccoli i pollastri, che Dio vi salvi. Cattivi figliuoli! Tutti cattivi!

I bambini singhiozzavano fra lo stridìo dei grilli, nella notte serena.