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quale scriveva da Roma, dove aveva impiantato un piccolo spaccio di vini sardi. Naturalmente il re di picche ingrandiva le cose, diceva di essere proprietario d’un gran deposito di vini; offriva ospitalità a Costantino, rimproverandogli di non essersi fatto trasferire a Roma, e gli assicurava del lavoro. Gli occhi azzurri del pescatore s’aprirono, infantilmente meravigliati.
— Oh guarda, oh guarda! — cominciò a dire. — Perchè non lo dicevi prima? Perchè nascondevi la lettera? Quanto occorre per andare a Roma?
— Cinquanta lire, ecco tutto.
— E tu le hai?
— Io le ho, sicuro.
— Ah! allora va, va pure! — esclamò il vecchio, stendendo la mano verso l’orizzonte.
Tacquero un momento. Il pescatore curvò il viso verso l’acqua, fissando in fondo al ruscello i ciottoli bianchi come uova, e Costantino guardò con indifferenza avanti a sè. Al di là del ruscello la brezza curvava le alte erbe dorate della pianura; i lunghi steli d’avena tremavano sullo sfondo azzurro come in un velo d’acqua. Zio Isidoro credette giunto il momento di spiegare a Costantino perchè molti volevano che egli lasciasse il paese.
— Giovanna non ama il marito: tu e lei potreste rivedervi...
— E se ci rivediamo?
— Niente!... Potreste, ecco tutto...
— Ecco niente! — gridò Costantino, e la sua voce risuonò forte nel silenzio della riva. — Io disprezzo quella donna immonda. Io non la voglio...