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vano, gli offrivano la loro casa. Le donne piangevano, lo chiamavano «figlio mio», lo guardavano con occhi pietosi. Una vicina mandò pane e salsiccie.
Ebbene, tutte queste dimostrazioni di stima e di pietà stizzivano il giovane. Diceva ad Isidoro:
— Perchè hanno compassione di me? Cacciateli via: andiamo in campagna.
— Andremo, andremo, figlio di Dio, abbi pazienza, — rispondeva l’altro, curvo sul focolare a cuocer le salsiccie. — Ah, come sei diventato cattivo! Possibile?
Ecco, dopo lo scoppio di dolore avvenuto all’alba, zio Isidoro non aveva più soggezione di Costantino, anzi cominciava a prendersi delle libertà, sgridandolo come un bambino. Nei pochi momenti in cui restavano soli, cominciava e ricominciava a narrare i fatti: Costantino ascoltava avidamente, e si seccava quando la gente veniva ad interrompere il racconto.
Venne anche il sindaco, che era ancora quel pastore dal viso di Napoleone I. Questa visita, veramente, commosse Costantino.
— Noi ti daremo pecore e vacche, gli disse il sindaco, dopo essersi soffiato il naso con le dita. — Sì. Ogni pastore ti darà un pecus1. Se hai bisogno di qualche cosa dillo subito. Nel mondo siamo tutti fratelli, ma specialmente lo siamo nei piccoli paesi.
Costantino pensò a ciò che i fratelli del suo piccolo paese gli avevano fatto, e scosse il capo.
- ↑ Capo di bestiame.