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chie per dormire. Ricordò la vecchia gazza del reclusorio e sentì qualche cosa scioglierglisi entro il petto.

Ebbene, perchè negarlo? Egli aveva provato dolore nel lasciare quel luogo di pene, quei compagni che non amava, quei muri orrendi, quel cielo che l’aveva per tanti anni oppresso dall’alto del cortile come una lastra di metallo.

Dopo la morte del vero colpevole giorni e mesi erano trascorsi prima che la giustizia avesse esaurito le sue formalità per liberare l’innocente. In quei mesi Costantino, informato di tutto, aveva smaniato ed i giorni gli erano parsi anni; eppure, nell’andarsene, aveva quasi pianto. Ed il suo intenerimento doloroso, che sembrava di pietà e di carità verso coloro che restavano, era invece per le cose che lasciava, per ciò che queste cose avevano assorbito della sua vita, del suo essere e del suo destino.

Ora anche questo dispiacere era passato. Tutto era passato. Anche il grande dolore per il procedere di Giovanna.

Tanto è vero che gli pareva di poterne ridere.

Scendeva, scendeva. Giunse in fondo alla valle e cominciò a costeggiare l’Isalle; la luce del tramonto era ancora vivissima e l’acqua brillava qua e là fra gli oleandri ed i giunchi, riflettendo il bagliore roseo-giallo del cielo; le ombrelle di merletto dei sambuchi e i bottoncini acuti di corallo scuro degli oleandri si disegnavano sull’aria lucida come sopra uno smalto d’argento. Costantino, già stanco, pensava che la valle non era poi così piccola come gli era parsa al primo rivederla.