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fava, sputava di qua e di là, e qualche volta anche sopra sè stesso; e dalle labbra livide gli scaturiva un alito vaporoso, puzzolente di acquavite. Tuttavia si allarmò per lo stato di Giacobbe.

— Che cosa diavolo hai? — gli chiese rudemente. — Il fianco? Il fianco? Hai diavoli al fianco! Vediamo un po’.

Rigettò le coperte, scoprì il fianco velloso di Giacobbe, lo palpò, vi mise su l’orecchio.

— È un corno! Sei viziato come una creatura, — disse, ricoprendolo in malo modo. Ma quando zia Anna-Rosa lo accompagnò fino alla porta, egli si rivolse e la fissò.

— Donnina, — le disse, — fatelo adunque confessare perchè egli ha la polmonite.

Sull’imbrunire Giacobbe si confessò. Poi fece chiamare la sorella e disse:

— Anna-Rò, anche prete Elias verrà con te, dal giudice. Andrete in carrozza perchè fa freddo.

Infatti fuori nevicava: un barlume biancastro, di una infinita melanconia, penetrava ancora nella grande camera misteriosa, il cui soffitto sembrava un cielo grave di nuvole.

Prete Elias guardò zia Anna-Rosa, alla quale egli voleva un gran bene perchè rassomigliava alquanto a sua madre: ella s’era fatta ancora più piccina, tutta nera nella penombra triste del crepuscolo nevoso, e chinava la faccia, vergognosa del delitto del suo «fratellino». Prete Elias capì istintivamente tutto il dramma eroico di quella povera anima, e mentalmente la benedisse.