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XIV.

La camera ove giaceva Giacobbe Dejas era di un’altezza straordinaria, e così vasta che il lume ad olio non riusciva ad illuminarne abbastanza gli angoli. Bisogna dire però che i mobili erano proporzionati: un guardarobe di legno rosso, sulla parete di fondo, raggiungeva il soffitto, ed aveva alcunchè di grave e pensoso; il letto di legno, attorno ai cui piedi girava una fascia di stoffa giallognola, era alto e maestoso come una montagna. Non so che di misterioso era in quella camera dagli angoli bui e dal soffitto alto e livido come un cielo nuvoloso; la minuscola figura di zia Anna-Rosa vi si smarriva come nell’immensità di una campagna: appena il suo petto arrivava alla sponda del letto.

Giacobbe Dejas sognava, su quel letto immenso. Aveva la febbre a 39 gradi. Gli pareva di essere ancora entro il fosso; ma i due uomini che l’avevano sotterrato continuavano ad accumulare la terra attorno alla sua testa, soffocandolo. Ed egli soffriva immensamente; ma lasciava fare, sperando di guarire più presto se lo sotterravano fin sopra la testa; e la sua testa era prete Elias, sul cui petto s’agitava la coda minuscola d’una tarantola. Nel sogno Giacobbe sentiva un pazzo terrore della morte.