Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 193 — |
e grave della cantilena orante. Un gatto mostrò le sue zampine, poi sporse il visetto bianco dai grandi occhi azzurri, poi saltò e guardò sul muro in faccia alla casa di Giacobbe.
— Troppo tardi! — gli disse Brontu, facendogli un cenno di saluto.
Tutti cominciarono a ridere e urlare: Giacobbe li pregò di andarsene, e siccome gli amici non l’obbedivano, finse scacciarli con un bastone sporco di calce. Allora quegli uomini fieri, robusti, selvaggi, cominciarono a correr qua e là per le stanze, per la scala, spingendosi per le spalle, rotolando, gridando, producendo un chiasso infernale, ridendo come bambini; e proseguirono il giuoco anche nella strada, dopo che Giacobbe ebbe chiuso a chiave la porta del suo palazzo: poi, tutti assieme, ritornarono nella bettola.
Brontu ed il servo rientrarono a casa sull’imbrunire, sostenendosi a vicenda.
Zia Martina stava nel portico, sola, con le mani sotto il grembiule: recitava il rosario. Vedendo i due uomini non si mosse, non disse nulla, ma scosse leggermente il capo, stringendo le labbra come per dire:
— Siete belli davvero!
— Dov’è Giovanna? — gridò Brontu.
— È da sua madre.
— Ah, da sua madre? Dalla vecchia arpia? È sempre là, maledetta!
— Non gridare, figlio mio!
— Io grido, perchè sono in casa mia! — egli urlò.
13 – Dopo il divorzio |