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— Andiamo a bere, ora.

Uscirono: Giacobbe s’avviò alla bettola, ma Isidoro non volle seguirlo, dicendo che doveva recarsi in chiesa.

Il servo andò alla bettola e vi trovò Brontu ed altri che giocavano alla morra con le braccia tese nervosamente, gridando i numeri con quanto fiato avevano in gola.

Prima delle cinque, ora nella quale doveva cominciare la processione, tutti erano ubbriachi. Giacobbe lo era più di tutti; pure s’arrogò il dritto di prender sotto braccio il padrone, sembrandogli che Brontu dovesse di momento in momento cadere. Poi invitò tutti quelli che si trovavano nella bettola ad andar nel suo palazzo per veder la processione.

Poco dopo le grandi stanze vuote risuonarono di voci rauche, di risate incoscienti e di passi malfermi; le finestre si spalancarono e si riempirono di visi barbuti, rossi, selvaggi.

Giacobbe e Brontu s’affacciarono alla finestra dove s’era appoggiato il pescatore: il sole era calato, ma il davanzale restava caldo; e sotto e davanti la visione del paesello, della pianura e delle montagne, appariva solcata da ombre sempre più allungantisi.

— Cu cu — gridò Brontu, arrotondando e sporgendo gli occhi.

Tutti lo imitarono, gridando a chi più poteva; le stanze echeggiarono, la strada si popolò di curiosi, ed in breve una battaglia di pietruzze, di sputi e di male parole si ingaggiò fra gli ubbriachi della fine-