Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 159 — |
aveva sperato che Brontu si burlasse delle Era; ed ora, ora la gente non avrebbe forse detto più nulla nè avrebbe più riso se Brontu e Giovanna si fossero uniti così, in peccato mortale (non sarebbe stato nè il primo nè l’ultimo caso; e Giovanna poteva scusarsi, data la sua gioventù e la sua povertà), ma sposarsi, una donna che aveva già marito, sposarsi! questo la gente non poteva sopportarlo. Che volete? La gente è fatta così. Eppoi era una cosa orribile, un peccato, uno scandalo inaudito. Si temeva che Dio castigasse tutto il paese per la colpa di quei due; e qualcuno minacciava di fare scandalo, di gittar pietre, di fischiare, di bastonare gli sposi il giorno delle nozze. Ed essi lo sapevano: Brontu si arrabbiava, zia Bachisia diceva «Lasciate fare a me» e zia Malthina sollevava la testa come un puledro che sente l’odor della polvere da sparo. Ah, lei voleva combattere e vincere; lei si sentiva invecchiare, era stanca di lavorare e voleva in casa una serva gratis. Giovanna le piaceva, e Brontu doveva prenderla. E che la gente schiantasse d’invidia.
La sera del giorno in cui furono fatte le pubblicazioni, zio Isidoro Pane lavorava nella sua catapecchia, alla luce vivissima e purpurea d’un gran fuoco. Almeno un gran fuoco zio Isidoro poteva permettersi, giacchè le legna le portava egli stesso dai campi, dalle rive del fiume, dal bosco. Durante l’inverno egli intesseva corde di pelo di cavallo: sapeva far di tutto, cuciva, filava, cucinava (quando aveva di che), rattoppava le scarpe: eppure non usciva mai di miseria.