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al sole e batteva i denti come un vecchierello. Voleva confessarsi spesso, e diceva al giovine cappellano tutte le inquietudini che provava.

— Chi vi ha messo in testa queste idee, caro figliuolo? — chiese il confessore; e gli occhi neri lampeggiavano.

— Un mio compatriota, l’ex-maresciallo Burrai, il re di picche infine.

Che Dio te strabenediss... — mormorò il cappellano, facendosi pensieroso. Egli conosceva bene il re di picche!

Cercò di confortare il condannato, poi gli chiese se e cosa Giovanna gli scriveva. Ahimè, essa ora scriveva raramente, poche righe. Dopo la morte del bimbo pareva non avesse più nulla da dire. Ultimamente aveva scritto che al paese faceva gran freddo: la neve era caduta due volte e l’ultima volta un uomo era morto assiderato attraversando le montagne. Inoltre, aggiungeva Giovanna, una grande carestia opprimeva il paese.

Tutto ciò dava a Costantino un’angoscia insopportabile. Spesso sognava d’esser condotto a Nuoro e liberato: di là s’avviava a piedi al suo paese; egli aveva freddo, non poteva andar oltre, moriva, moriva... E si svegliava gelato, col cuore oppresso da un’angoscia suprema.

Il confessore gli disse:

— Voi siete tanto debole, caro fratello; è la debolezza che vi fa venire questi brutti pensieri. Vostra moglie è una buona cristiana; non vi farà mai alcun torto, via, levatevi di mente le brutte idee. Avete