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— No, che ella ha un figlio.

— E questo lo sapevo anch’io. Ecco, ella mi ha scacciato, ecco tutto. Dalla strada ho sentito madre e figlia litigare acerbamente.

Dopo di che Brontu cercò il suo fiasco di acquavite. Giacobbe si sentiva allegro, aveva voglia di ridere.

— Ecco, — disse, — stanotte i sorci hanno bevuto la tua acquavite: ah! ah! ah! Ma ce ne deve essere ancora. Ce n’è ancora.

Brontu bevette avidamente, senza rispondere; poi gettò irosamente il fiasco contro il servo, che lo prese a volo. E come Brontu aveva bevuto per dolore, Giacobbe bevette per gioia.

VIII.

Circa tre anni dopo la sua condanna, una mattina in sul finir dell’estate, Costantino si svegliò di cattivo umore. Il caldo era opprimente e nella camerata gravava un odore nauseabondo. Un condannato russava sbuffando come una pentola in ebollizione.

Costantino aveva dormito con l’ultima lettera di Giovanna sotto il capo; e questa lettera era laconica e triste in sommo grado: diceva che Giovanna e sua madre si trovavano in grande povertà e che il bambino stava gravemente malato.