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gambe, la testa gli girava, e vide a pena la figura nera di zia Bachisia, che teneva le scarpe in mano e un involto sul capo.

— Zia Bachisia, — cominciò a chiamare, commosso, — sono qui, venite qui, venite, buona sera.

Ella gli si precipitò quasi addosso, — seguita premurosamente dal servo.

— Ah, Brontu Dejas, caro figliuolo, se non sono morta stasera non muoio più. Son tre ore che cammino. Mi sono smarrita. Ho bisogno di parlarti, abbi pazienza.

Altro che pazienza! Egli era commosso fino alle lagrime; la prese per mano, la condusse entro la capanna. Giacobbe capì che non poteva prender parte al colloquio e ritornò dietro la capanna, tendendo l’orecchio, aggirandosi intorno a sè stesso come una belva rinchiusa.

Non udì nulla. D'altronde il colloquio fu breve e zia Bachisia non volle neppure sedersi. Diceva di essersi smarrita, in cerca dell’ovile di Brontu, e che Giovanna doveva aspettarla ansiosamente, credendo che fosse andata nei campi per cogliere erbe mangerecce. Pur troppo, sì, erano costrette a vivere di erbe, tanto la povertà le stringeva; e zia Bachisia veniva per chiedere a Brontu dei denari in prestito. Sì, Dio sia lodato, in prestito. Se non potevano restituirglieli, ella e Giovanna avrebbero lavorato per conto dei Dejas fino a scontare il debito. Erano più mesi che non pagavano il fitto di casa, della casa loro, e l'avvocato minacciava di sfrattarle.

— Dove andremo noi, Brontu Dejas, — diceva