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i marmi - parte terza 71


cattivo e sagace garzone; onde fece una scritta che pareva, ancor che la non lusse, di mia mano, e mi fece su quella debitore di dieci scudi, e, portandomela (pensate voi!), me gli chiedé. Io, quando ebbi ben pensato, lo risolvè’ di non gli esser debitore; egli minacciommi di litigi, e io, per non litigare, elessi per minor male il dargli i dieci ducati, e lo pregai, facendomi fare la quitanza di tutto quello che noi avevamo avuto a fare insieme. Un altro ghiottone, che intese questo pagamento, mi giunse con un’altra scrittura; io, che conobbi questa cosa essere una truffa, lo pregai che litigasse con quel primo che da me aveva ricevuti i ducati e, facendolo condennare per truffatore, si pigliasse i danari. Acettette il partito costui, e lo convinse, perché litigò seco; e in questo che egli vuol tôrre i dinari per sé, mi pareva che ’l giudice sospettasse che non fusse truffatore anch’egli; e trovato il suo pensier vero, mi faceva rendere i miei dieci scudi.

Michele. Cotesta fu bella. Oh che sentenza mirabile! Ma piú stupenda sarebbe ella stata a esser visione piú tosto che sogno. Sognasti tu altro di bello?

Francesco. Sognava poi ch’io era diventato poeta e volevo dir tutto il contrario degli altri; e dicendo mal d’una donna, mi parve ch’ella montasse cavalcioni sopra una volpe e mi venisse a tagliare a pezzi, onde mi bisognò schermire tanto che io gli forai la cioppa come un vaglio; cosí la vinsi; ultimamente, gli feci questo sonetto:

     La mia donna ha i capei corti e d’argento,
la faccia crespa e nero e vizzo il petto;
somiglimi le sue labbra un morto schietto
e ’l fronte stretto tien, ben largo il mento;
     piene ha le ciglia giunte e l’occhio indrento,
come finestra posta sotto un tetto;
nel riguardar, la mira ogn’altro obietto
che quella parte ove ha il fissare intento;
     di ruggine ha sui denti e poi maggiore
l’un è dell’altro e rispianate e vòte
le guancie, larghe, prive di colore;