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i marmi - parte terza 47


lionfante fra le nugole con questo castello), e Giove allora gli dette l’intender sopra tutte le bestie, perché gli fece sí gran presente. Il Bufolo, tirando non so che carro, si fuggi di terra e lo tirò in cielo a Giove, che fu poi da quella frasca di Fetonte aggirato con quei cavalli; ma perché era carro da bufoli, però n’ebbe poco onore di quella sua impresa: Giove ricompensò il Bufolo in questo, che le sue corna fussero d’un mirabil osso e bello. Il Bue non portò nulla, perché Giove si fece in forma sua; onde non era lecito che facessi altro che farsi vedere da Giove, ed egli lo convertí in un segno del cielo. Il Cerbio gli menò molti cerbiatti per far pasticci e gne ne donò; e tanti quanti bestioli vi condusse tanti rami di corni gli diede Giove, con dirgli: — Tu sarai il piú bel cornuto che sia al mondo. — L’Asino vi condusse una soma di vino; ma pare a me che per la via egli ne beessi un certo che, onde i barili andaron sempre diguazzando, e, quando e’ fu lá su alto, egli sapeva di stantio bene bene e tutto rotto e mezzo intorbidato, talmente che fu datogli per gastigo che portasse il vino e beesse l’acqua, per insegnarli a metter bocca ne’ presenti che vanno a’ gran maestri. Il Castrone gli portò lana, la Pecora latte, la Vacca vitelli, il Becco capretti, il Cavallo cacio; insino agli Scoiattoli gli portaron delle nocciuole. Alla fine alla fine il Serpente, che era tutto veleno, andò pensando di portargli qualche cosa; ma non aveva se non fumo, fuoco, veleno e superbia: pure, bisognando portare, se n’andò in un giardino e colse una fresca e bella rosa incarnata e se ne volò dinanzi a Giove; cosí se gli presentò e alzò da lontano la testa, portando in bocca quella rosa, e mostrava grande allegrezza. Giove, quando lo vidde lontano, gli fece cenno che aspettasse, e, congregati tutti gli dei, disse: — Voi vedete che questo pestifero animale, essendo stato sempre nelle grotte, nelle caverne e ne’ boschi, ha voluto comparire anche egli per onorare il convito, con una bella rosa in bocca. — Momo, che aveva la lingua lunga, parlò súbito e fu il primo e disse: — Egli è venuto prosontuosamente cotesta bestiaccia, ché io non gli ho comandato che venga né lui né alcuno altro velenoso bestione; e non te ne fidare, perché, con quella bella