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46 i marmi - parte terza


voi, consuma la grassezza; e se non fosse stato quella, forse forse che voi saresti grasso e grosso altretanto.

Servitore. Messer Quieto, che istoria è quella di quel Giove di marmo lá su alto? che serpente velenoso è quello che gli è inanzi?

Quieto. Non mi stare ad interrompere il ragionamento: guarda, questa bestia che l’ha veduta cento volte né mai ha detto nulla, ora che si dice qualche bella cosa, tu vieni a rompermi la testa! Lievatimi d’inanzi.

Ardito. Anzi ha fatto bene a framettere qualche atto: io che l’ho rimirata sei volte quella scoltura e non l’intendendo, ve ne voleva dimandare. Ditemi, di grazia, quel che la significa.

La favola del serpente.

Quieto. Lo scultore, che me la diede, fu un certo fiorentino de’ Mini, giovane galante e gentile; e dice che la fu una finzione d’una favola che trovò l’Unico Aretino quando era araldo della signoria di Firenze. E l’invenzione è sií fatta: voi vedete un Giove, lá, in maestá, che riceve da tutti gli animali qualche presente; per quello che egli fosse presentato, ora l’udirete. Dopo il diluvio, pare a me che Giove gli venisse voglia, formati e moltiplicati che furono gli uomini un’altra volta, di fare un solenne convito e vedere in viso ciascuna nuova creatura; e lo fece; poi, per onorarlo e farlo piú sontuoso, pomposo e superbo, che egli ordinò che tutti gli animali dovessero portargli qualche presente, fusse che cosa si volesse. Cosí mandò Momo in terra e comandò agli uomini, uno per sorte, che andassero a questa cena o desinare che si fosse, e alle bestie che portassino un presente per una. Deh, udite che bella novella, se l’è come mi raccontò quel fiorentino. Giove ricompensava, come cortese signore, tutti i doni con altretanto dono, forse piú e manco secondo che gli pareva. Dice che l’Elefante gli portò un castello che gli era stato posto adosso dagli uomini per combattere; onde egli súbito lo portò in cielo a Giove (qui è dove Luciano si fondò a far castelli in aria, perché s’abatté a veder questo