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206 i marmi - parte quarta


del capo. Quando gli trovavo per la strada, m’appiccavo loro al mantello e gli seguitavo con domande fastidiose tanto che rinegavano la pacienza; se mi davano in casa udienza, mai la finivo, sempre avevo che dire; e sempre fantasticava la notte quello che in poliza metteva il giorno, e con quella listra gli andavo ad afrontare. Volete voi altro? che in manco di tre mesi tutti a quattro d’accordo rinunciarono al testamento e mi lasciarono domino dominantio. Io allora cominciai a cavalcare bravi cavalli in compagnia, con brave donne in groppa, e mano a darmi buon tempo; tanto che io messi al di sotto alcune centinaia di scudi che erano in casa per parte di parecchi mila che vi restarono. Fatto questo, tale umore scórse; non che io lo facessi per conto de’ danari (a punto! che ringraziato sia mio padre, e’ non pareva che fossi tócco il monte), ma perché tal vita mi venne a noia; e, lasciato questo perdimento di tempo, mi messi a ritrovarmi con miei pari compagni e quivi con varii giuochi e giornate male spese mi dimorai una buona etá. E ancor questa mi venne a fastidio. Cominciai poi a ritrarmi dalla conversazione e ridurmi agli spassi della mia villa, agli studi de’ miei libri e alle ore del mio riposo, godendomi di qualche musica, di qualche convito raro, di qualche nuova vista e altre curiositá che accággiono alla giornata. Ma questa mia vita abbracciava troppe cose; onde non potevo distendermi tanto; e presi partito di stagliarla. Prima, io posi gran diligenza in veder chi mi sodisfaceva piú nel parlare, o i vivi o i morti; tanto che io mi ridussi a non poter ascoltare vivi, sí scioccamente mi pareva che parlassino; nei morti sempre leggevo qualche cosa nuova e nei vivi udivo replicar mille volte mille cose vecchie: poi, standomi in casa, non riportava quel dispiacere che io aveva quando andavo fuori. Si che vedete che salto io feci da’ primi miei principi a quel tempo.

Doni. Voi avevi presa buona strada.

Inquieto. I miei amici mi cominciarono a dire che m’aveva preso l’umor malinconico; onde mi forzarono a rientrare in ballo; tanto che io divenni camaleonte, e rideva con chi rideva, dolevami con chi si doleva, dicevo quel che gli altri e facevo quello che facevano gli altri; spendeva il tempo, lo gettavo via,