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DICERIA DELL’INQUIETO

ACADEMICO PEREGRINO

AL DONI

Inquieto. Le vostre bizzarre composizioni m’hanno fatto ricorrere a voi come a uno oracolo per una mia gran necessitá: e questa è che io non trovo riposo né di di né di notte, per amor di non poter fare una vita che mi contenti; e s’io n’ho provate, Dio ve lo dica per me; e se non vi annoia, ve ne dirò almanco tre o quattro.

Doni. Ascolterò, se ben ne dicessi mille.

Inquieto. Quando io fui libero dalle mani del pedante, che non fu poco, mio padre mi messe una briglia alla borsa, onde non potevo spender tanto quanto m’era di bisogno, ma quanto piaceva a lui: in questa ritirata di redine, io feci strabalzi, stracolli e, come si dice, gettai via del mio inanzi che io lo godessi. Dopo un certo tempo egli si morí e, conoscendomi gagliardo di cervello, comesse a quattro uomini da bene che mi tenessin le mani ne’ capegli e che non mi lasciassin dar l’ambio alla roba. Io, quando mi viddi legate le mani, cominciai a ritrovare questi miei sopracapi, e due e tre e dieci volte il giorno andava loro a spezzar la testa, con dire: — E’ bisogna far qua, e’ bisogna spender lá; io non intendo che si getti via in questo modo, ma voglio che la mia entrata megliori in questo altro. — E gli bravavo con dir: — Voi avete a fare il debito vostro; non si vuol pigliar carichi, chi non gli vuole mantenere. Che bella gentilezza, voler tenér le mani nell’intrate d’altri per non le megliorare! — E andavo a punto nelle ore che eglino avevano piú faccende, e se mi rimandavano indietro, mi dolevo ai miei e lor maggiori: onde e’ mi sprecarono a noia piú che ’l mal