Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. II, 1928 – BEIC 1814755.djvu/17

12 i marmi - parte terza


l’affermerò, che la ricca fortuna ha messo l’oro in mano a tali, e gli fa chiamar signori, che meriterebbono d’esser posti in estrema miseria e che s’avessero a mendicare il pane con il sudor proprio; perciò che simil uomini ricchi, ignorantissimi, non conoscano la virtú, non degnano i virtuosi, non accettano in casa grado di virtú, ma tutto il loro avere è distribuito da’ lor ministri, equali d’animo e di pensieri, in giochi, in femine, in gola, in cani, in buffoni, in ruffiani e pollacchine; la vita loro è sonno, lussuria e ignoranza.

Fiorentino. Che volete voi fare? E’ non credono che sia altra virtú che il ventre né altra dignitá che l’esser ricco avaro; basta che sia detto al virtuoso: — Tu saresti degno della ricchezza del tale; tu meriteresti un regno, uno stato, eccetera; — e poi dar di penna alla partita. Voi ne vedete assai salire a tal grado? Nessuno; e se pur è dato loro qualche intratella, o ella è a tempo o la vien tardi, o la gli è tolta o ei si muore. Pierino di Baccio degli Organi nostro, ora che egli s’era fatto un poco d’entrata buona e cominciava a mietere il frutto della sua virtú (oh che mirabil giovane ha perduto il mondo!), la morte gli ha troncato la strada. Di questi esempi ne direi mille, cosí antichi come moderni: se fosse stato qualche ignorante, e’ ci viveva tanto che tutti si stomacavano del fatto suo.

Peregrino. Oh che bella razza di ricchi poltroni ho io nel capo e su la punta della lingua! Perché non è egli lecito a far un bando della lor gaglioffa vita? E’ sarebbe ben fatto, acciò che, spauriti gli altri, si volgessino a virtuosi fatti e i virtuosi si rincorassino vedendo bastonare il vizio, la poltroneria e l’insolenza, che è cagione che vanno mendicando il pane. Or non piú di questo; andiamo in piazza a veder quei colossi, affermando esser vero quel che ha detto il vostro marmo, parlando di chi è posto in luogo che non merita e sbassato tale che meriterebbe d’essere esaltato, e che egli è meglio, ultimamente, esser degno di stare in capo di tavola e tenére il luogo da piedi che indegno di quella testa e possederla; perché i nostri savi antichi dissero che l’uomo onora il luogo e non il luogo l’uomo.