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il nobile e il perduto 161


dico, i nostri signori principi e reverendissimi (si parla di coloro che sono), che voglion tanti titoli nelle soprascritte di «illustrissimo», di «eccellentissimo», di «reverendissimo», di «liberalissimo», di «cortesissimo» e di «virtuosissimo», potrebbon imparare a esser amatori de’ virtuosi.

Nobile. Credo che io perderò tempo, perché son cornacchie di campanile e non escon per suon di parole, e son formicon di sorbo troppo pratichi: bussa pur quanto tu vuoi, ché non escon altrimenti per bussare; bisogna o saetta a quelle o fuoco a quegli altri. Cosí a una gran parte de’ nostri gran maestri bisognerebbe un morbo a cavallo a cavallo che gli rifrustasse o una guerretta soda soda e salda che gli lasciasse grulli grulli; e io, trovandogli poi sopra una strada mezzi aghiadati o a un uscio a chieder per Dio, m’avessi a far le croci, con un maravigliarmi: — È possibile che questo sia messer tale? è questo il tal signore? Oh poveretto! s’egli avesse atteso a imparar la virtú, almanco si potrebbe pascer con la sua mano e non con quella d’altri. — E per caritá gli vorrei dar la mitá de’ soldi che io avesse, senza rinfacciargli o dirgli: — Poveretto, se tu avessi ora i dinari che tu hai spesi in vacche, ganimedi, ruffiani, buffoni, parassiti e cani, non avresti bisogno del pan d’altri — ma direi solo: — Togli; Dio ti doni buona ventura, e ti ritorni nel tuo primo stato; ma insieme con quello ti sia cortese di cervello sano e di buono intelletto, acciò che tu sappi regger te e far bene a chi merita. — E me ne andrei in lá, dolendomi di non lo poter sovenire in quel modo che egli, giá ricco e potente, poteva sovenir me.

Perduto. Ascolta, Nobil Peregrino: se cotesti tali udissero e, piú, che le parole, che tu di’, l’avessero inanzi scritte, ma io dirò ancor meglio, se si compungessino in lor medesimi cotesti ricconi, la compunzione dureria tanto loro quanto il tempo del lègger le parole; sí come fa la parola di Dio, che esce di bocca del predicatore a’ tristi, che, mentre che gli odono il suon della voce, conoscono il loro errore, passato quello, la cosa va in oblio. Ma dimmi un poco di quei re che amaron tanto la virtú e lascia costoro nella loro ignoranza.