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ragionamento sesto 87


Ciano, Pandolfino e Lorenzo Scala.

Ciano. Voi potete vedere dove io mi fidava! In effetto gli amici son pochi, i buoni. Io credeva ch’avendolo mandato a tôrre di fuori con dieci scudi della mia borsa... e poi di dove io l’aveva cavato? D’un luogo dove egli era stato svergognato e che poco vi mancava che vi sarebbe morto di fame. L’ebbi poi amalato, che lo feci guarire, con tanto mio scomodo che la signoria vostra si sarebbe stupita. Ciò che io ho mai avuto tutto è stato i due terzi suo: egli faceva di me ciò che voleva; e ogni volta che l’uomo fa tutto quello che egli può, non è tenuto a far piú.

Pandolfino. Siími credo io.

Ciano. E poi, che mi sia stato traditore, am? È egli un uomo da bene? Ignorante, gaglioffo, figliuol d’un notaiuzzo ben balbuziente e da poco. Io son brutto di persona, ma egli è sozzo di vita e sporchissimo d’anima.

Pandolfino. Non ti fidar mai piú di nessuno, il mio Ciano da bene, ché non è ingannato se non i buoni e non sono ingannati se non da’ tristi; e ti voglio allegare un galante uomo che diede un bravo ricordo a un altro circa il fidarsi e al suo vivere al mondo.

Ciano. Io ascolterò volentieri, intanto che io aspetto l’ora del sonno; come la viene, non tarderei un iota che io non me n’andassi a casa.

Pandolfino. Lucio Seneca fu quel gran mirabile spirito che si sa. Fu una volta menato a Roma da un certo Emilio, suo amico, a vedere una sua casa, che egli nuovamente aveva fabricata, e, quando vi fu dentro, si cominciò in terreno a dire: — Queste camere son buone per una venuta all’improvista di gentiluomini forestieri, questa loggia acciò che possin fare esercizio, questo giardino per ispasso delle donne. —