Pagina:Doni, Anton Francesco – I marmi, Vol. I, 1928 – BEIC 1814190.djvu/265


ragionamento della poesia 259


Giuseppe. Continuate le stanze, non ispezzate i suggetti.

Baccio. Voi l’avete veduto, io trascorro cosí con l’occhio, parte ne leggo piano e parte forte.

     — E come, vivo, il mio soverchio ardire

ha spaventato il mondo e la natura,
morto, vo’ che m’abbi anco ad ubbidire
del centro ogni perduta creatura:
io son quel ch’ero al vivere e al morire;
sì che fuggi da me, bestial figura;
se non, teco la barca e queste genti
la getterò sopra quei tetti ardenti. —
     Con la destra la barba e i crini irsuti,
con la sinistra il furioso tiene;
la barca, ch’è di vimini intessuti,
il grave e mobil pondo non sostiene,
perché, d’anime d’uomin mal vivuti
carica essendo, a rovesciar si viene:
cadder esse, egli cadde e il vecchion rio
nel fiume negro del perpetuo oblio.

Le non possono essere se non dell’Aretino. Oh che spirito hanno elleno!

Giuseppe. Seguitate pure, e vedrete se il libro è stupendo.

Baccio. L’alma del re defunto a nuoto corre

per l’onde tenebrose e seco tira
il legno, l’ombre e Caronte e vuol tôrre
l’imperio a Pluto e tutto avvampa d’ira.

Giuseppe. Oh che stanze terribili! Veramente altri che lui non le potrebbe fare. Sentirete che Plutone ha paura del fatto suo; leggete, via:

Baccio. L’orrido re de le perdute genti

fe’ serrar tosto le tartaree porte;
e per guardia ha piú spezie di tormenti
che guai la vita e lagrime la morte;