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246 i marmi - parte seconda


costui; — misurando i suoi portamenti con altri come con meco si fosse portato.

Agnolo. Intendo; come dire: se a me, che gli ho voluto far bene e fatto quanto ho potuto, egli m’ha tradito, che fará egli a un altro che gli fará male?

Vittorio. Voi siate su la pesta; cotesto chiodo bisogna battere.

Barone. Io me lo tôrrei dinanzi.

Vittorio. Meglio fia, dopo cento minacci, lo gastighi una fune.

Agnolo. Ben gli sta.

Barone. Io son piú vendicativo di voi: alla prima, salterei la granata e te lo vitupererei con gli scartabegli o lo farei dipingere con sirene a torno, per il tradimento con trofei di testi secchi e corde, per i meriti di tre legni, con istoriette di Sinone sotto, di caval di Troia e di cittá; poi farei un togato da parte con una lettera in terra che fosse bella e sigillata e una figuretta nuda che gli desse un buon mandiritto, e lo farei stampare e lo publicherei; e poi, per non parere, convertirei il caval di Troia nel caval pegaseo, Sinone in un poeta che avesse delle frasche di lauro in mano, e, quel figurino che gli dava il suo resto, in una fama che l’incoronasse di lauro.

Vittorio. Voi saresti bestia bene; alle capate faresti voi: non sapete voi che duro con duro non fece mai buon muro?

Barone. Anzi, io sarei il duro che la vorrei vincere e lui sarebbe... presso che io non dissi la tenera o ’l pastaccio.

Agnolo. Altra via diversa terrei io, lavorando sempre sotto acqua; e gli verrei sopra all’improvista con certi mandiritti e certi fendenti che direbbe: — Io non l’avrei mai creduto! —

Vittorio. Un altro farebbe forse altrimenti, con essergli tanto tempo nimico per l’avenire quanto egli gli fosse per il passato stato amico, e spoglierebbelo degli onori che gli avesse dato e scorderebbesi i piaceri ricevuti e gli farebbe tanto danno quanto utile gli avesse fatto e tanto male quanto bene.

Barone. Cotesta non puzza e non sa di buono.