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ragionamenti arguti 221


Giorgio. S’io non erro, d’un certo che..., del resto dirò la cosa fedelmente, che fu mirabile.

Neri. Non penso che narriate cosa buona.

Giorgio. Egli messe a campo certi gastighi grandi venuti sopra gli uomini e tutti gli cavò dalle storie.

Neri. Saranno cose masticate mille volte; non ne dite altro, ma rispondetemi a certe minute che io intendo dimandarvi. Èvvi rimasto altro che voi tenghiate caro del fatto suo?

Giorgio. Le sue uose (e per disgrazia mi rimasero!), ch’io l’ho tanto care che voi non lo potresti credere.

Neri. Altro?

Giorgio. Un cappel di paglia.

Neri. Altro?

Giorgio. Un paio di forbicine da mozzarsi l’ugna.

Neri. Altro?

Giorgio. Una pianella vecchia, un cintol da le calze, due stringhe spuntate, una berrettina di saia, una guaina del suo coltello; or be’ una lucernina di latta, tre pallottole da trar con il saeppolo, perché traeva bene di balestro per ricriazione; rimasemi una sportellina che mi mandò con una insalata, un gomitol di refe bianco, un ago, tre magliette, un ganghero, la tondatura d’un suo mantello, una soletta di calza consumata, una ciotola di terra, un fíaschettino di vetrice; rimasemi ancóra un piattello con il segno d’un S. M. che io l’ho pur caro; un mezzo pettine, un pezzo di corona di sicomoro, la fibbia d’una correggia, un granatino vecchio, e cento altre zacchere che io non mi ricordo.

Neri. Pensatevi!

Michele. Piú tosto non le volete dire.

Giorgio. Eh, eh!

Michele. Voi ridete?

Neri. Ride certo, perché voi l’avete indovinata; ma inanzi che voi diciate il resto, e’ pare a me ciò che voi avete redato non vaglia due bianchi: che non le gettate voi via coteste cose?

Giorgio. Oh che Dio ve ’l perdoni! le non si tengano per la valuta.