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216 i marmi - parte seconda


Bandinello, quando disse questo, non passò ad altra intelligenza che alle lodi di Michel Agnolo; e volle dire che, per esser uomo sí divino, aveva fatto due statue senza paragone e senza menda. Io, che so a quanti di vien san Biagio, andai con il cervello piú alto e dissi: — Voi fate bene a dir cosí, perché la casa de’ Medici v’ha dato e remunerato; ma Democrito Milesio ve ne vorrá male. — Quando egli m’udí fare questa risposta, stette sopra di sé, e, non intendendo, disse: — Fatemi piú chiaro. — Io gli dissi che, ricercandosi apresso Dionisio qual fosse il miglior metallo che avessero messo in opera gli ateniesi, fece questa risposta Democrito: «Quello che si fonde per far le statue di Armodio e di Aristogitone». — A che fine furon fatte coteste statue? — mi dimandò allora il cavalieri. Io gli dissi come avevano amazzati i tiranni.

Guasparri. Oh bene! Intese il cavalieri?

Mazzeo. Súbito; ma prima dormiva con la fante.

Francesco. State saldi; io vo’ veder s’io l’indovino anch’io.

Mazzeo. Ècci sí buio!

Guasparri. Perché? sarebbe sí gran fatto? Egli non attende ad altro che a far conti e la sua professione è andarsene a spasso a Rimaggio: n’è vero, Scappella?

Francesco. Piú che vero; però udite. Io avrei inteso che, sí come quel bronzo fu onorevolmente speso a far le statue di coloro che meritavano, cosí tal marmo fu bene impiegato a farne il magnifico Lorenzo de’ Medici e il signor Giuliano; ma non si distese se non quanto era lungo il suo lenzuolo né penetrò tanto sotto.

Guasparri. La fu arguta veramente.

Mazzeo. Arguta fu quella di messer Enea della Stufa, essendo degli Otto, che, vedendo un certo tristo che aveva sviato un uomo da bene e l’aveva condotto a rubare e poi l’andava accusare per farlo impiccare, gli disse: — Non ti bastava egli che fusse tuo buon scolare, senza vederlo alzar sopra te, che se’ stato suo maestro? —

Francesco. Almanco l’avesse egli fatto pigliare e tutti due gastigati!