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186 i marmi - parte seconda


il nostro ragionamento, si vi dico che inestimabile mi pare il nocumento che la vanagloria degli uomini e ’l fumo della ragia ha fatto al mondo. Ogni pedante fa stampare una leggenda scacazzata, rappezzata, rubacchiata e strappata da mille leggendaccie goffe, e se ne va altiero per due fogliuzzi, che pare che egli abbi beuto sangue di drago o pasciutosi di camaleonti. Come egli vede qualche sua cantafavola in fiera, egli alza la coda e dice: — Fate largo; io non cedo al Bembo; l’Ariosto l’ho per sogno; il Sanazzaro e il Molza non son degni di portarmi dietro il Petrarca. — Cosí, credendosi rubar la fama altrui, acchiappa su la vergogna per sé.

Lollio. Questo non è giá danno che la stampa faccia, ma sí ben vergogna di coloro che ardiscano farlo e vitupèro di chi potrebbe impedirlo e se ’l comporta.

Coccio. Se si tagliasse la strada per un editto universale, che ogni libruzzo da tre soldi non si stampasse, e s’accordassero a questo l’universalitá de’ reggimenti, sarebbe bello e proveduto a questo danno.

Lollio. Platone ordinò che non si publicasse cosa composta e scritta da altrui, se prima non era vista e censurata da persone sopra ciò deputate. Or se questo si faceva in quel tempo, che non era cosí facile divulgare in ogni parte del mondo le scritture, che avrebbe fatto l’uomo savio in questa facilitá che abbiamo noi di mandare a processione ogni leggenda e ogni facezia goffa e disonesta?

Crivello. E’ non è dubbio alcuno che con questa legge si porrebbe freno a molti che corrono a gara a fiaccarsi il collo ne’ torchi e negli strettoi e s’aniegano nell’inchiostro.

Coccio. Non vi pare egli cosa infame e vituperosa che si leggano a stampa tante disonestá, come veggiamo?

Lollio. Parrebbemi che, non gli impressori, i quali s’affaticano per guadagnare, ma i componitori, i quali non si vergognano di ritrarre la lor viziosa vita e dar pessimo esempio al mondo con adunar facezie vituperose, e’ ne doverrebbono essere agramente gastigati. E non so se voi giudicate che sia lecito, sotto colore d’insegnare arguzie, mostrare l’eresie