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184 | i marmi - parte seconda |
Crivello. Se voi n’aveste avuto bisogno, come molti hanno, ne ringraziereste chi vi s’è affaticato; ma, per la cognizione ch’avete della lingua latina, vi fate beffe di chi traduce e di chi legge traduzioni.
Lollio. Né di chi traduce né di chi legge semplicemente mi risi io giá mai, ma si bene di chi si mette a far cosa che non sappia m’ho io fatto beffe, e riderommi ogni volta che m’occorrerá. E voglio dirvi piú oltra che io per me, quando posso avere traduzioni fedeli e toscane (ma, ma...), lascio sempre...
Coccio. Voi dovete lègger manco ch’io non penso.
Lollio. ...gli autori proprii, sí per scemarmi fatica e avanzar tempo come per imparare in essi la lingua. Ma pochi sono questi felici ingegni che a ciò mi possano indurre; nei quali porrò sempre il Titolivio di messer Iacopo Nardi, l’Oratore del signor Dolce, Tucidide del signor Strozzi, Seneca del Doni, e qualche altro autore. Scartabello poi, ancor che sieno le traduzioni mediocri.
Coccio. Se gli uomini dotti si fossero dati a tradurre, non avreste cagione di dir cosí.
Lollio. I dotti fanno da loro, che è piú lodevole esercizio, pare a me, e spendono il tempo in altre cose gloriosamente, veggendo che la miseria de’ pedanti e la furfanteria delle dottoresse, per avarizia e per viltá d’animo piú che per giovare altrui e acquistar fama a se stessi, s’è posta a tradurre per vilissimo prezzo, facendo mercanzia delle virtú; e questa maladetta speranza di guadagno gli ha indótti a precipitare l’opere, che essi doverebbono e meglio considerare e piú lungo tempo apresso di loro ritenere. Non vedete voi che egli c’è tale che traduce a opere come fanno i manovali?
Coccio. Le virtú che sempre hanno mendicato il pane e sono ogni di piú povere, per l’avarizia di molti principi, non possono fare altro: per che i virtuosi meritano piú tosto d’essere aiutati che ripresi.
Crivello. Io che fui causa, framettendomi a’ ragionamenti vostri, di farvi far questa digressione, vorrei anco potervi ritornare sulla via.