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178 i marmi - parte seconda


io sono in Vinegia, non ho avuto la pratica e conoscenza di lei, e, la sua gran mercé, mi conosco esserle molto tenuto.

Coccio. Alcun gran servigio vi debbe ella aver fatto.

Lollio. E chi ne dubita?

Coccio. Ma dite, per vostra fé!

Lollio. Il dirlo è soperchio, né altramente sarebbe che s’io volessi farvi credere che io ho obligo a chi m’ha ingenerato.

Crivello. Guardate di non dir troppo e di non mostrarvi, come si suol dire, guasto de’ fatti suoi.

Lollio. Io dico da dovero e del miglior senno che io m’abbia.

Coccio. Voi sète piú tosto acconcio a mostrarmi la grandezza del vostro ingegno, esaltando le cose piccole, che a farmi vedere il benefizio e ’l favore che vi può aver fatto questa gentil giovane. Ma il primo non m’è nuovo; ché’l mondo ha giá potuto benissimo vedere negli scritti di messer Alberto Lollio l’eloquenza vostra.

Lolljo. Voi di troppo m’onorate e lodate; benché io non posso se non apprezzar la lode che mi viene data da uomo lodato, ancóra che io la conosca avanzare il mio merito e procedere piú tosto d’amor che, gentilezza vostra, portate a me e alle cose mie.

Coccio. Lodandovi, non pure fo quello che io debbo, ma procuro il mio onore, facendomi tenére uomo di giudizio in onorarvi qual mi si conviene.

Crivello. Lasciamo le cirimonie, messer Francesco; e vegnamo all’obligo c’ha il Lollio con le stampe.

Lollio. Io v’ho giá detto che non mi reputo esser tenuto meno all’arte degli impressori di quello che a mio padre io debbo.

Coccio. Troppo promettete, secondo che mi pare.

Lollio. Anzi vi dico io di piú.

Coccio. Or questo sí che mi par nuovo in persona di tanto valore e di sí chiaro spirito.

Lollio. Io mi conosco di tanto piú essere obligato alle