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ragionamento della stampa 177


sí lungo spazio di tempo si fosse servito delle scritture, senza passar piú oltra; e io forse v’avrei concesso parte di quel che dite.

Coccio. Giá non mi potete negar questo.

Lollio. Né voi potrete dire che questo esercizio non abbia scemato altrui quella sí lunga, intolerabile e continua fatica dello scrivere; oltra che, un uomo solo stampa piú carte in un dí che molti non scriverebbono in molti.

Coccio. Io non v’ho anco detto l’uno è esercizio mecanico e sordido e l’altro scienza nobile e gentile.

Lollio. Voi inferite che lo imprimere libri è plebeo e lo scriver carte nobile e onorato?

Coccio. Questo appunto voglio dir io.

Crivello. Egli si pare bene che non vi ricordiate d’aver letto una lettera di non so chi che tanto biasima lo scrivere.

Coccio. L’ho letta e troppo bene me ne ricorda: ma quel galantuomo non biasima l’arte, ma la fatica, sí come quello che era amico dell’agio e delle comoditá.

Lollio. S’io volessi, avrei potuto anch’io dir mal dello scrivere e aggiungere alcune cose a quella epistola.

Coccio. Quando voi lo biasimaste, direste contra voi medesimo, ché, per quello che ne mostrano i bei caratteri di vostra mano, fate fede d’esservene dilettato piú che mezzanamente e d’avervi speso tempo a impararlo; oltra che lo scrivere non vi devrebbe esser in odio per molte cagioni, ma piú per esser padre della stampa.

Lollio. L’intenzione mia non fu di vituperare quei che scrivono, ma io volsi ben farvi conoscere la grande utilitá che vien dallo imprimere.

Coccio. Deh, messer Alberto, per dio, se questa sí ingegnosa arte vada ogni giorno avanzando e vincendo se stessa, non vi sia grave dirmi la tanta utilitá che ne riceve il genere umano.

Lollio. Qui vorrei vedere affaticare voi, sí come quello che molto meglio di me la sapete per lungo uso e per ciò potete mostrarla altrui; ché io, se non da pochi dí in qua che