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162 i marmi - parte prima


Poeta. «Egli quando ebbe scherzato con i bischeri del liuto e toccato s’egli era bene incordato, stiacciò il corpo dello stromento su la coltrice, e l’incassò senza piú impellarlo altrimenti».

Gozzo. Ancor questa è da taverna: dite, via.

Poeta. «Tutte le manovelle dell’opera non gne ne avrebbon levato da dosso: queste son cose veramente da fare ai sassi per i forni».

Gozzo. Ve ne saprei lèggere in catedra di coteste! Ma quei Giuseppi e Pirri e Tisbe non ne so boccicata.

Poeta. Insegnami queste che tu sai.

Gozzo. Finite pure.

Poeta. «Aver possi tu quel piacer della tua cena che ha la bòtta dell’erpice».

Gozzo. La non va cosí; e’ si dice: «Come disse la Bòtta all’Erpice: — Senza tornata —».

Poeta. Non ne son capace cosí alla prima: come ho finito, le dirò tutte a una a una.

Gozzo. Sta bene — come disse Toccio.

Poeta. «Fa di starti sempre in franchigia, altrimenti tu saprai a quanti di vien san Biagio; chi l’ha per mal, si scinga: a ogni modo noi sián per far due fuochi; perché tu ti stai tutto di a donzellarti, so che tu sei una donzellina da domasco; a me non darai tu codesta suzzacchera né apiccherai cotesta nespola. Se tu sei uso a far delle giacchere, a tuo posta: di questa che s’apartiene a me, sturatene gli orecchi, ché non se ne fará nulla, perché io non compro vesciche e non voglio per tue baie perder la cupola di veduta. Va, mostra lucciole per lanterne a chi ha i bagliori agli occhi e non mi tenére in ponte, ché, lodato sia Dio, io veggo il pel nell’uovo: se ben la vecchiaia vien con ogni mal mendo, io ho a queste cose, come disse colui, sempre gli occhi a le mani; e chi si vuole ingrognare, ingrogni».

Gozzo. Voi vi siate fatto da cattivo lato, a cominciar dal trebbiano; voi roviglierete tutta la mia taverna, che non ci fia chi non si rida del fatto vostro: la roba viene e va; sí che